La vera natura del volto dell’Altro: «Totalità e Infinito»
L’Altro uomo non mi è indifferente, l’Altro uomo mi concerne, mi riguarda nei due sensi della parola “riguardare”. In francese si dice che “mi riguarda” qualcosa di cui mi occupo, ma “regarder” significa anche “guardare in faccia” qualcosa, per prenderla in considerazione.
Prima ancora di essere soggetto, l’uomo è preso in una relazione con altri uomini, relazione che è etica prima che sociale o politica. Ciò che caratterizza l’uomo è la sua “inevitabile possibilità” di rapportarsi all’Altro, che non può essere ricondotto all’io, perché resta sempre esteriore alla coscienza, situato al di là di essa.
L’epifania, e dunque la manifestazione dell’Altro, avviene nel dialogo, nel “faccia a faccia”. L’Altro è quindi una rivelazione concessa in particolare dal volto, che è il mezzo di comunicazione primo e lo strumento attraverso il quale l’umanità di ciascuno si palesa.
Noi chiamiamo volto il modo in cui si presenta l’Altro. Questo modo non consiste nel mostrarsi come un insieme di qualità che formano un’immagine. Il volto d’Altro distrugge ad ogni istante e oltrepassa l’immagine plastica che mi lascia.
In Totalità e Infinito Lévinas tende a distinguere il volto stesso sia dai suoi lineamenti, che posso ricondurre a categorie generali (ad esempio il colore degli occhi), sia dai dati che lo inseriscono in un contesto (ad esempio i dati anagrafici). Il volto è più che altro il luogo in cui si giocano tutte le dinamiche dell’uomo e costituisce quindi una spaccatura dalla quale l’essere è libero di sgorgare.
Il volto è dunque quella presenza viva dell’Altro che mette in crisi le varie forme in cui tendiamo a ricondurlo, è ciò che rimane dell’Altro una volta esauriti tutti i riferimenti al mondo esterno a cui egli è sottoposto.
Quel particolare fenomeno che è la rivelazione dell’altro di fronte a noi, comporta un salto dal mondo a ciò che lo trascende.
La manifestazione della trascendenza dell’Altro è il volto, che possiede un senso autonomo, che si impone al di là del contesto fisico e sociale ed è indipendente dalla nostra soggettività.
Il volto è dunque qualcosa che sfugge al pensiero ed è questa sua inafferrabilità a renderlo una “traccia dell’Infinito”.
L’Altro, infatti, viene inserito sempre in un contesto ben definito, ma il volto è quell’elemento che trascende la finitezza del contesto ed è in grado dunque di rinviare all’Infinito.
Nel semplice incontro di un uomo con l’Altro si gioca l’essenziale, l’assoluto: nella manifestazione, nell’”epifania” del volto dell’Altro scopro che il mondo è mio nella misura in cui lo posso condividere con l’Altro. E l’assoluto si gioca nella prossimità, alla portata del mio sguardo, alla portata di un gesto di complicità o di aggressività, di accoglienza o di rifiuto.
La relazione con l’Altro, ovvero la relazione etica, è dunque parte dell’essenza dell’io, il quale è apertura, accoglienza del volto.
Ciò che caratterizza l’uomo in quanto tale è proprio una dimensione etica: la capacità di infrangere l’egoismo e di rispondere alla domanda dell’Altro, ovvero di esserne “responsabile”.